Pindaro
Pindaro, figlio del
nobile tebano Daifanto, nacque a Cinoscefale, in Beozia, tra il 522 e il 518,
durante i giochi Pitici. Secondo la tradizione, fu discepolo del flautista
Scopelino e di due poetesse locali, Mirtide (di cui non resta nulla) e Corinna
di Tanagra: quest'ultima, autrice di heroia, canti legati a saghe di miti
beotici, rappresenta l'humus culturale di tipo rapsodico-esiodeo, tipico
della Beozia, cui fa riferimento la narrazione dei miti pindarici.
La vicinanza con Atene influì sulla formazione musicale di Pindaro, come testimoniato dai suoi rapporti con il ditirambografo Laso, promotore di riforme tecniche nel ditirambo, che fu ammesso agli agoni poetici sotto i figli di Pisistrato.
Il suo esordio nella lirica corale, preceduto dalla composizione di inni e peani, si data al 498, quando Pindaro compone la Pitica X per Ippocle di Tessaglia.
Il successo di Pindaro è documentato, oltre che dalle committenze tessale, dai frequenti soggiorni, specie negli anni '80, nell'isola di Egina, dove compose numerosi epinici, e a Ceo, dove entrò in contatto con Simonide e Bacchilide.
Questa sua committenza aristocratica, unita alle origini nobili, lo tenne assai distante dalla presa di posizione anti-persiana del resto della Grecia, facendolo schierare dalla parte della sua Tebe, unica città greca a non unirsi alle altre poleis nel movimento di liberazione nazionale. Tuttavia, fin dalla battaglia di Salamina (480), il poeta celebrò il valore di Atene, anche se di certo non con lo spirito sentito di Simonide.
Nel 476, chiamato dal tiranno siracusano Ierone, gli dedicò l'Olimpica I, in aperto contrasto con l'Epinicio V di Bacchilide, col quale fu in aperto contrasto per la poetica e la conduzione dell'ode a livello stilistico: tuttavia, nel 468, Bacchilide gli fu preferito da Ierone per la sua vittoria olimpica. I contatti con Ierone, fondatore di Enna (anticamente Etna) nel 475, lo misero in rapporto anche con Eschilo, chiamato in Sicilia a celebrare la fondazione della città con le sue Etnee.
Pindaro mantenne altresì stretti contatti con i dinasti di Agrigento, Imera e Camarina, e con i signori di Rodi e Cirene, per poi tornare prima ad Egina, intorno al 464, poi a Tebe, dove compose vari parteni per Apollo in feste a cui partecipò anche il figlio Daifanto come ministro del culto apollineo.
Secondo la tradizione, Pindaro sarebbe morto ad Argo nel 438 ca., piegando la testa sulla spalla di Teosseno di Tenedo, un ragazzo amato negli ultimi anni, a cui aveva dedicato un appassionato encomio.
Pindaro
afferma come la sua poesia non sia un dono gratuito delle Muse, né che si
tratti di un'intuizione, bensì la definisce come il risultato di un lavoro, di
una fatica () analoga a quella dell'atleta.