Aristotele
Aristotele nacque a Stagira, una cittadina della penisola Calcidica nel nord
della Grecia nel 384 a.C .Il padre Nicomaco era medico presso la corte del re dei
macedoni Aminta, ma morì quando Aristotele era ancora giovane. Egli fu quindi
allevato da un parente più anziano, di nome Prosseno. Nel 367, all'età di 17
anni, andò ad Atene al fine di entrare a far parte dell'Accademia di
Platone, che si trovava all'epoca a Siracusa.
Vi rimase per ben
20 anni svolgendo un'attività di insegnamento, sino
alla morte di Platone che fu nel 347-348. Nel 345 si stabilì a Militene, sull'isola di
Lesbo. Nel 343 Filippo lo invitò a corte in veste di
precettore di Alessandro. Qui rimase a lungo finchè Filippo non fu assassinato
da Pausania nel 336 e Alessandro gli succedette al trono. Nel 335 Aristotele fece
il suo rientro ad Atene e svolse attività di ricerca e di
insegnamento nel Liceo, un ginnasio vicino al tempio di Apollo Liceo
(originariamente fu chiamato "peripato" , passeggiata e luogo di discussione) ,
raccogliendo intorno a sè amici e scolari. Nel 323 però, morto Alessandro in
Oriente,
prese il sopravvento in Atene la corrente anti-macedone capeggiata da
Iperide ed egli si allontanò da Atene e
si ritirò a Calcide, sull'isola di Eubea, dove la famiglia di sua madre aveva
possedimenti: qui morì a 62 anni nel 322 a.C. Nominò suo esecutore
testamentario Antipatro , che proprio nel 322 ristabiliva il dominio macedone
sulla Grecia e su Atene.
In questo brano il filosofo afferma che vivere con il lavoro delle sue mani non si addice al cittadino della polis, confermando di condividere il giudizio degli antichi sul lavoro manuale.
Politica, 1277a 30-1277b 8; 1328b 35-1329a 1
1 [1277a] [...] E poiché si ritiene talora che comandante e comandato debbano apprendere cose diverse e non le stesse e che il cittadino deve conoscerle e averle entrambe, si può capire quel che segue. C’è il comando padronale: diciamo che sua materia sono i lavori necessari per la casa: non è indispensabile che il padrone sappia farli, ma piuttosto impiegarli a proprio uso. L’altro è servile e per “l’altro” intendo la capacità di sbrigare i mestieri servili. Distinguiamo vari tipi di schiavi giacché varie sono le faccende da compiersi. Una parte ne sbrigano i manovali: costoro, come indica da sé la parola, sono quelli che vivono col lavoro della mani: [1277b] rientra in questi l’operaio meccanico. Per tale motivo, un tempo, presso alcuni popoli, i lavoratori non erano ammessi alle cariche, prima che si sviluppasse la democrazia nella forma piú spinta; i lavori di questi, soggetti a tale forma di comando, non li deve apprendere il bravo uomo di stato né il bravo cittadino, se non per il suo esclusivo uso privato, occasionalmente, perché in tal caso non c’è piú da una parte il padrone, dall’altra lo schiavo.
[...]
2 [1328b] Ma poiché ci troviamo a studiare la costituzione migliore, quella, cioè, sotto la quale lo stato è al massimo felice, e s’è già detto che non può esserci felicità senza virtú, è chiaro di conseguenza che nello stato retto nel modo migliore e formato da uomini giusti assolutamente e non sotto un certo rapporto, i cittadini non devono vivere la vita del meccanico o del mercante (un tal genere di vita è ignobile e contrario a virtú) e neppure essere contadini quelli che vogliono diventare cittadini [1329a] (in realtà c’è bisogno di ozio e per far sviluppare la virtú e per le attività politiche).
(Aristotele, Opere, Laterza, Bari, 1973, vol. IX, pagg. 78-79; pagg. 238-239)