Cittadini e democrazia
 



Jean Jacques Rousseau

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Contratto sociale

Jean Jacques Rousseau, vissuto in Francia nel XVIII secolo, si propone di delineare un nuovo modello di stato capace di rinnovare l’umanità liberandola dalla corruzione e dall’arbitrio. Riconosce nella libertà il fondamento dello stato e nella garanzia del suo esercizio il compito dell’autorità politica.

Nel riprendere i temi del dibattito politico li definisce nella prospettiva della volontà generale e della sovranità popolare.

Immagino ora che gli uomini siano arrivati al punto in cui gli ostacoli che nuocciono alla loro conservazione nello stato di natura prevalgono con la loro resistenza sulle forze di cui ciascun individuo può disporre per mantenersi in quello stato. Tale stato primitivo non può più sussistere in questa fase e il genere umano perirebbe, se non cambiasse le condizioni della sua esistenza.
Ora, siccome gli uomini non possono creare nuove forze, ma soltanto unire e dirigere quelle che esistono, essi non hanno altro mezzo per conservarsi che quello di formare per aggregazione una somma di forze che possa prevalere sulla resistenza, mettendole in moto per mezzo di un unico impulso e facendole così agire di concerto (…).
“Trovare una forma di associazione che difenda e protegga con tutta la forza comune la persona e i beni di ciascun associato, e per la quale ciascuno, unendosi a tutti, non obbedisca tuttavia che a se stesso, e resti libero come prima”. Questo è il problema fondamentale di cui il contratto sociale dà la soluzione
(…).
[Le clausole di questo contratto], bene intese, si riducono tutte a una sola: cioè l’alienazione totale di ciascun associato con tutti i suoi diritti a tutta la comunità. Infatti, innanzi tutto, poiché ciascuno si dà tutto intero, la condizione è uguale per tutti, ed, essendo la condizione uguale per tutti, nessuno ha interesse a renderla onerosa per gli altri(…).
Se dunque si esclude dal patto sociale ciò che non gli è essenziale, si troverà che esso si riduce ai termini seguenti: Ciascuno di noi mette in comune la sua persona e ogni suo potere sotto la suprema direzione della volontà generale; e riceviamo in quanto corpo ciascun membro come parte indivisibile del tutto.
(…) La prima e più importante conseguenza dei principi sopra stabiliti è che soltanto la volontà generale può dirigere le forze dello Stato in modo conforme al fine della sua istituzione, che è il bene comune; perché, se l’opposizione degli interessi particolari ha reso necessaria la costituzione delle società, è l’accordo di quegli interessi medesimi che l’ha resa possibile. Ora, è unicamente sulla base di questo comune interesse che la società deve essere governata.
Affermo dunque che la sovranità, non essendo che l’esercizio della volontà generale, non può mai essere alienata, e che il corpo sovrano, il quale è soltanto un ente collettivo, non può essere rappresentato che da se stesso: si può trasmettere il potere, ma non la volontà (…).
Finché parecchi uomini riuniti si considerino un sol corpo essi non hanno che una sola volontà che si riferisce alla conservazione comune e al benessere generale (…). Uno Stato così governato ha bisogno di ben poche leggi; e quando diventi necessario promulgarne di nuove, questa necessità è lampante per tutti.
J. J. Rousseau, Il Contratto sociale, tr. it. di V. Gerratana, Einaudi, Torino 1983, pp. 23-24; 37; 139

                                 

 

        


 

 

 

Jean Jacques Rousseau nacque a Ginevra nel 1712, da una famiglia calvinista di piccoli artigiani. La madre morì nel darlo alla luce. A dieci anni dovette lasciare Ginevra con il padre, che stava per essere arre stato perché coinvolto in una rissa. Affidato alle cure di uno zio, fu avviato al mestiere di incisore. A sedici anni fuggì in Savoia, chiese aiuto a un parroco cattolico che lo presentò alla giovane svizzera Madame de Warens: questa lo persuase a recarsi a Torino e a farsi cattolico. Poco dopo divenne sua amante. Nel 1740, dopo dieci anni di unione, lasciò la sua protettrice, andò a Lione e poi a Paris (1742). A Paris fece vari mestieri, e conobbe la generazione degli illuministi. Fu amico di Diderot e di Condillac. Ha una lunga relazione con la cucitrice Thérèse Levasseur, che sposò più tardi, e che gli diede alcuni figli, tutti lasciati all'ospizio dei trovatelli. Nel 1750 vinse un concorso dell'accademia di Digione con il "Discorso sulle scienze e sulle arti" che rispondeva in modo negativo alla questione "se il progresso delle scienze e delle arti abbia contribuito a migliorare i costumi". Iniziò così la sua carriera letteraria.

Nel 1756-1757 fu ospite di Madame d'Epinay, all'Ermitage, un padiglione che sorgeva nel parco del castello della Chevrette, presso Montmorency. Rousseau ha un breve periodo felice, anche se reso inquieto per l'amore con ricambiato per Madame d'Houdetot. A questi anni risale la rottura con Diderot e con gli altri illuministi. Rousseau aveva collaborato all'"Encyclopédie", ma entrò in polemica con Voltaire, cui indirizzò una "Lettera sulla provvidenza" (1756), e con d'Alembert cui indirizzò la "Lettera sugli spettacoli" (1758). Interrotto ogni rapporto, si ritirò in campagna, sempre presso Montmorency, ospite del Maresciallo di Luxembourg. Trascorse qui alcuni anni di intenso lavoro. Le sue opere scatenarono violente reazioni: sia da parte di Voltaire e dei "philosophes", sia dall'arcivescovo di Paris e dal Parlamento. Ciò portò all'arresto di Rousseau.

Rousseau si convinse di essere vittima di un complotto ordito dai suoi ex amici. Fuggito in Svizzera, nell'autunno 1765 vive sull'isola di Saint-Pierre, in mezzo a un lago (a pochi chilometri da dove viveva in quegli anni l'odiato Voltaire, al castello di Ferney). Riparò nel 1776 in In ghilterra, dove gli diede ospitalità Hume. Anche i rapporti con Hume si incrinarono. Rientrato in Francia, continuò a scrivere e a guadagnarsi da vivere facendo il copista di musica. Morì, in seguito a una improvvisa malattia, nel castello di Ermenonville [Oise], dove si era recato su invito del marchese de Girardin. Era il 1778.