Il mito di Protagora (dal Protagora)

Nel dialogo che porta il suo nome Platone fa narrare a Protagora un grande mito che ha per tema la costituzione della convivenza civile tra gli uomini, altrimenti minacciati di estinzione dall'ingiustizia e dalla violenza.

Allora Zeus, nel timore che la nostra stirpe potesse perire interamente, mandò Ermes a portare agli uomini il rispetto e la giustizia, perché fossero princìpi ordinatori della Città e legami produttori di amicizia. Allora Ermes domandò a Zeus in qual modo dovesse dare agli uomini la giustizia e il rispetto: “Devo distribuire questi come sono state distribuite le arti? Le arti furono distribuite in questo modo: uno solo che possiede l’arte medica basta per molti che non la posseggono, e così anche per gli altri che posseggono un’arte. Ebbene, anche la giustizia e il rispetto debbo distribuirli agli uomini in questo modo, oppure li debbo distribuire a tutti quanti?”. E Zeus rispose: “A tutti quanti. Che tutti quanti ne partecipino, perché non potrebbero sorgere Città, se solamente pochi uomini ne partecipassero, così come avviene per le altre arti. Anzi poni come legge in mio nome che chi non sa partecipare del rispetto e della giustizia venga ucciso come un male della Città”.

 

“Le leggi parlano a Socrate” (dal Critone)

Platone ci presenta Socrate come figura emblematica di cittadino che riconosce il valore assoluto delle leggi, cui non si può disobbedire, anche se questo comporta grave danno per sé. Il comportamento tenuto da Socrate in occasione del processo intentatogli dai suoi accusatori fu la coerente testimonianza della fedeltà a questi principi. La formulazione più alta di questo insegnamento è contenuta nel Critone, in un passo nel quale si immagina che le Leggi si rivolgano a Socrate dicendo:

“Rifletti, pertanto, o Socrate, se quello che noi veniamo dicendo è vero: che non è giusto cercare di fare contro di noi quello che ora appunto cerchi.
Noi, infatti, che ti abbiamo generato, allevato, educato, e abbiamo fatto partecipi di tutti quei beni che erano in nostra facoltà te e tutti quanti gli altri cittadini, prescriviamo ciononostante (…) che colui al quale, eventualmente, noi non siamo gradite, possa benissimo uscire dalla Città, prendendo tutti i suoi beni, e andarsene dove voglia. (…)
Ma chi di voi resta qui, vedendo il modo in cui noi regoliamo la giustizia, e come governiamo in tutto il resto la Città, allora noi affermiamo che costui, di fatto, ha dato il suo consenso a fare ciò che noi ordiniamo. E chi non ubbidisce, noi affermiamo che commette ingiustizia in triplice maniera: e perché non ubbidisce a noi che lo abbiamo generato, e perché non ubbidisce a noi che lo abbiamo allevato, e perché, dopo aver acconsentito a ubbidirci, né ci ubbidisce, né cerca di persuaderci se mai facciamo non bene qualche cosa; mentre, dal canto nostro, noi proponiamo e non comandiamo duramente di eseguire ciò che ordiniamo; anzi, mentre permettiamo una delle due cose, o di persuaderci o di ubbidire, egli non fa né l’una né l’altra di tali cose”.
 

 

Il mito di Crono (dalle Leggi)

Il mito dell'era di Crono ci insegna non senza verità che una Città retta da un mortale e non da un dio non può trovare scampo né dal mali né dalle sofferenze e che pertanto non resta che imitare con ogni mezzo possibile la condotta di vita del tempo di Crono di cui si è parlato, governando Stati e famiglie con quella parte di noi che è immortale sia negli affari pubblici che privati. Orbene, all'azione direttiva della ragione noi diamo il nome di legge.

 

 

 

 


 

Platone nasce ad Atene nel 428 a. C., periodo che coincide con la crisi dell'età d'oro della Grecia periclea, da una famiglia aristocratica. Nella sua giovinezza diventa discepolo di Cratilo, seguace di Eraclito, e a venti anni inizia a frequentare Socrate.
Vorrebbe
dedicarsi pienamente alla vita politica; questo si evince dalle sue stesse parole: Io vidi che il genere umano non sarebbe mai stato liberato dal male, se prima non fossero giunti al potere i veri filosofi o se i reggitori di Stato non fossero, per divina sorte, diventati veramente filosofi.
Nel 388 a.C. si reca in Sicilia, a Siracusa, per conoscere la filosofia pitagorica (ne abbiamo testimonianza nella Lettera VII). Qui conosce Dione, zio del Tiranno Dionigi I. Sua intenzione è quella di convertire il Tiranno al suo ideale di re-filosofo e, per questo, viene venduto come schiavo sul mercato di Egina. Viene riscattato da Anniceride e si serve di questo denaro per fondare la celebre "Accademia" ad Atene nel 387 a. C. In seguito viene chiamato da Dione per progettare la riforma dello Stato, poiché Dionigi il giovane era succeduto a Dionigi il vecchio, ma i continui scontri tra Dionigi e Dione rendono impossibile l'opera di Platone.
Nel 360 a. C. torna definitivamente ad Atene dove, nel 347 a. C., muore all'età di circa ottanta anni.