VITIGNI E BIODIVERSITA'

Sommario

1.   La Biodiversità
2.     Vitigni autoctoni veronesi
    ·        Cenni di ampelografia
    ·        Zona produttiva
    ·        Disciplinare di produzione
3.   I vitigni del Bardolino
    ·        Rondinella
    ·        Molinara
    ·        Corvina veronese
    ·        Negrara
4.    Brevi descrizioni delle più importanti uve nere veronesi tratte dalla "Descrizione delle viti e
       delle uve della provincia veronese" del dottor Ciro Pollini (1822) e riprese da G. Acerbi
    ·        Falerno
    ·        Schiava
5.    Malattie della vite e rimedi
    ·        Botrite
    ·        Flavescenza
    ·        Il mal bianco della vite: l'oidio
    ·        Tignola dell'uva
    ·        Tignoletta dell'uva
    ·        Filossera
    ·        La peronospora


LA BIODIVERSITA'

Utilizzando la biodiversità esistente fra i vitigni da vino è possibile dare al consumatore il vino che gradisce con un minimo di interventi finalizzati ad esaltarne la tipicità. La biodiversità fornisce i mezzi necessari e tecnici per produrre vini tipici che sono frutto anche delle caratteristiche bioclimatiche di quel territorio.
La biodiversità genetica dei vitigni da vino riveste un'importanza fondamentale per un'enologia moderna volta alla massima valorizzazione della qualità del vino, nel rispetto della genuinità.
Maggiore attenzione, per le uve nere, meritano le sostanze polifenoliche perché influiscono notevolmente sulle caratteristiche organolettiche dei vini e sulle loro proprietà igienico-alimentari, quali gli antiossidanti, gli antinfiammatori, oltre ai parametri classici della qualità come il contenuto glucidico, il pH e l'acidità totale.
Le colline moreniche rappresentano un buon humus per la crescita dei vigneti favoriti dall'ambiente climatico mite e ben soleggiato. Il clima del Garda è un particolare dono delle sue acque, note per la loro limpidezza, trasparenza e tiepidità. Infatti il lago di Garda è considerato volano termico ed è di fondamentale importanza per conferire tipicità al vino Bardolino.

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VITIGNI AUTOCTONI VERONESI

Cenni di ampelografia

Tra le specie di vitigni esistenti sul suolo veronese, si ricordano per importanza e diffusione Rondinella, Molinara, Corvina Veronese e Negrara, che danno vita ai rinomati vini Bardolino e Valpolicella, mentre il Falerno e la Schiava restano importanti, anche se non funzionali alla produzione dei suddetti vini. Su questo territorio vengono descritti anche vecchi vitigni autoctoni veronesi, quali la Rosetta di montagna e la Cabrusina.

Zona produttiva

Il territorio collinare veronese e gardesano, ricco di specie autoctone, si suddivide, secondo i dettami legislativi, nella zona "classica", più antica ed in quella più "recente" (tipica) delimitata nel 1968. La zona "classica" comprende i territori dei comuni di Bardolino, Garda, Lazise, Affi, Costermano, Cavaion, mentre quella tipica comprende nella sua zona produttiva anche i comuni di Torri del Benaco, Caprino V.se, Rivoli V.se, Pastrengo, Bussolengo, Sona, Sommacampagna, Castelnuovo del Garda, Peschiera del Garda e Valeggio s/M.

Disciplinare di produzione

Per la produzione del Bardolino il disciplinare di produzione stabilisce la coltivazione delle seguenti varietà:

Possono inoltre concorrere alla produzione di detto vino anche le uve provenienti dai vitigni rossignola, barbera, sangiovese e garganega, da soli o congiuntamente, presenti nei vigneti, fino ad un massimo del 15%.

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I VITIGNI DEL BARDOLINO

RONDINELLA

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Una prima descrizione di questa uva risale al 1882 in una monografia agraria della provincia di Verona, ma si ritiene che la sua introduzione nel veronese risalga ad un'epoca ben più remota.

Caratteristiche:

Alla Rondinella compete la tonalità rosso rubino e il particolare sentore che allude alla ciliegia e alla violetta.

Fenomenologia:

Caratteristiche colturali:

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Il suo nome deriva da mulino in quanto i suoi acini sembrano spolverati di farina. Le prime notizie su questo vitigno risalgono al 1818, forniteci da Pollini. Il Rossi nel 1883 riporta che quest'uva era anche chiamata "Solà".

Caratteristiche:

Alla Molinara spetta di dare vivacità al vino.

  • Foglia: di grandezza media, un po' allungata, tribolata; seni laterali inferiori appena accennati; lobi poco marcati piani o cadenti. Pagina superiore di color verde chiaro, liscia, opaca, glabra; pagina inferiore di color verde grigiastro con qualche pelo lungo le nervature.
  • Picciolo: corto di media grossezza con sezione trasversale circolare e senza canale, di color rosso o rosso vinoso.
  • Grappolo maturo: di grandezza media (lunghezza 20 cm circa), piramidale, generalmente con 2 ali corte, peduncolo grosso, erbaceo; pedicelli corti, verdi. Acino di grandezza media ( diametro trasversale mm 15,7) sferoide e leggermente allungato, di forma e sezione trasversale regolare; buccia di color rosso violaceo, di media consistenza, un po' spessa; ombelico persistente; polpa di media consistenza, di sapore semplice, dolce e di succo incolore
  • Vinaccioli: in numero medio di 2, piriformi un po' allungati.

Fenomenologia:

Caratteristiche colturali :

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Sinonimi: Corba, corbina, cruina.

Caratteristiche:

La corvina trasmette al vino struttura e colore.

  • Foglia: di grandezza media, pentagonale, quinquelobata; seno peziolare a U o a lira, per lo più aperto; seni laterali superiori molto profondi con bordi sovrapposti; seni laterali inferiori profondi; lobi marcati, piegati un po' a gronda; pagina superiore di color verde intenso, liscia, opaca; pagina inferiore grigio-verde, aracnoidea; nervature sporgenti. Denti molto pronunciati, irregolari, acuti.
  • Picciolo: corto.
  • Grappolo maturo: media grandezza, lungo, cilindrico piramidale, con un'area spesso lunga, piuttosto compatto; peduncolo visibile, legnoso all'attacco; pennello grande e violaceo.
  • Acino: medio (15 mm) ellissoidale; buccia color blu-violetto, spessa, un po' astringente; polpa sciolta a sapore semplice e dolce.
  • Vinaccioli: in numero 2-3 per acino, di media grandezza, di forma allungata.

    Fenomenologia:
  • Invaiatura: media.
  • Maturazione dell'uva: III e IV epoca.

Caratteristiche colturali:

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E' bene segnalare che nel gruppo delle uve "negrare" si comprendono 3 vitigni che Cosmo e Polsinelli hanno contraddistinto con il nome di:

  • Negrara Trentina (a foglie pentalobate) che ha anche per sinonimo terodola o tirodola.
  • Negrara Veronese a foglia quasi intera o poco lobata.
  • Negronza a foglia trilobata.

Tutte queste varietà sono state citate fin dall'inizio del secolo scorso da vari ampelografi con descrizioni incomplete e pertanto di difficoltosa interpretazione. La Negrara Trentina è la sola varietà "autorizzata" nel territorio veronese.

Caratteristiche:

Alla Negrara va attribuita la singolare morbidezza che armonizza tutto l'insieme.

  • Foglia: di grandezza media, pentagonale, quinquelobata; seno peziolare a U aperto o a lira; segni laterali inferiori profondi a U; seni laterali superiori con bordi sovrapposti a lira, molto profondi; lobi marcati e spioventi; pagina superiore di color verde chiaro, con superficie liscia e un po' bollosa, glabra, opaca; pagina inferiore grigio-verde, vellutata, con setole sulle nervature.
  • Grappolo maturo: grande, un po' allungato, 20-23 cm., piramidale, alato (1-2 ali), abbastanza compatto; peduncolo dal raspo lungo, di media grossezza, erbaceo, verde.
  • Acino: grande (16,8 mm.), sferico, di forma non molto regolare; buccia molto pruinosa, di color blu-violetto, spesso coriacea, astringente; polpa succosa, sciolta, sapore semplice, succo incolore.

È una vite molto vigorosa e di buona produzione ma poco resistente alla crittogame. Vinificata in purezza, la Negrara Trentina, fornisce un vino di buon corpo, di color rosso rubino, leggermente tannico, sapido, piuttosto neutro nel colore e nel profumo.

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BREVI DESCRIZIONI DELLE PIÚ IMPORTANTI UVE NERE VERONESI TRATTE DALLA "DESCRIZIONE DELLE VITI E DELLE UVE DELLA PROVINCIA VERONESE" DEL DOTTOR CIRO POLLINI (1822) E RIPRESE DA G. ACERBI

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Ciro Pollini, nel suo trattato sulle viti e le uve della provincia veronese, descrive ottantadue specie diverse tra uve nere o rosse (cinquantacinque) e bianche (ventisette). Tra le nere, sono da ricordare oltre alle specie autoctone utilizzate per la produzione del Bardolino, due vitigni di diffusione nazionale impiegati per dar vita ad altri vini italiani.

FALERNO

Sermenti rossi, piccoli, piuttosto avvicinati; picciuoli o gambi delle foglie rossi; foglie pelose per di sotto, trilobate per metà, e due volte seghettate: grappoli bislunghi con grani tondi, piccoli, fitti, nerissimi, di un dolce acidetto grato, a peduncolo rosso, e a peduncoletti verdi. E' assai simile alla Lambrusca o Vite selvatica.

SCHIAVA

Tralci robusti, grossi e lunghi; foglie grandi, intagliate a incirca il terzo, e largamente dentate; grappoli mediocri, bislunghi, con i gambi rossetti, acini tondi, piuttosto rari, rossi, teneri di buccia, dolci. E' fecondissima, dà molto mosto, che, misto ad altro di uve nere, diventa vino eccellente.


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MALATTIE DELLA VITE E RIMEDI

La presenza di parassiti sui vigneti è da sempre causa di numerose avversità che hanno determinato perdite quantitative e qualitative alla produzione.
Fin dalle prime comparse di parassiti, l'uomo ha cercato rimedi per proteggere le colture attaccate da queste infezioni. Allo stesso tempo però, ha cercato di limitare l'utilizzo eccessivo di antiparassitari che avrebbero danneggiato l'equilibrio naturale del vigneto.
A un periodo in cui si mirava soprattutto a garantire la produzione in termini quantitativi, ne segue un altro caratterizzato dal preoccuparsi anche del fattore qualitativo dei prodotti. Con il passare degli anni si assiste progressivamente ad un miglioramento delle tecniche antiparassitarie, le quali vengono adeguate alla salvaguardia della salute dell'uomo, alla tutela dell'ambiente e che consentono di trarre determinati vantaggi economici.

BOTRITE

La Botrite, dal latino Botrytis Cinerea, è un fungo che nella stagione autunnale si insedia sui tralci, all’interno delle gemme, oppure sotto la corteccia, sotto forma di sclerozi. Durante la stagione primaverile, con umidità elevata e temperatura più alta, il micelio, che in Autunno si era insediato sulle gemme, germina e invade i tessuti teneri. Dagli sclerozi invece si formano i conidiofori che hanno la capacità di produrre una grande quantità di spore. L’infezione incontra fin dall’inizio condizioni di sviluppo ottimali quindi è possibile individuare i danni provocati già all’invaiatura. f_muffa grigia.jpg (13730 byte)

I grappoli sono gli organi più colpiti, in particolare quelli prossimi a maturazione o già maturi, tuttavia in rari casi si possono avere attacchi precoci. La fitopatia si manifesta sugli acini con macchie rosso-violacee, inizialmente superficiali, poi più profonde, ed estendendosi provocano un marciume molle. In seguito gli acini degenerano, la polpa si fa liquescente ed imbrunisce e quindi si copre di una muffa grigiastra. Con piogge scarse gli acini avvizziscono. Con umidità elevata e quindi grappoli compatti, la malattia invece si sviluppa rapidamente e può compromettere l’intero raccolto. La muffa grigia è stata, da sempre, causa di seri danni per i vitigni coltivati nelle aree della Valpolicella e del Bardolino.


FLAVESCENZA

La flavescenza dorata è una malattia insidiosa ed estremamente contagiosa, in grado di azzerare completamente la produzione dell’uva. E’ un’infezione da quarantena dovuta ad un fitoplasma della classe Mollicutes, la sola cura è l’abbattimento della pianta. E’ facilmente riconoscibile perché l’insetto che la trasmette, lo Scaphoideus titanus, presenta due piccole macchie nere sul dorso. La contaminazione, proveniente dalla Francia, da dove è stata segnalata fin dagli anni ’50, si è diffusa attraverso materiale vivaistico infetto in Italia, dove è presente dal 1973 ma si è modificata divenendo più pericolosa. In questo periodo sta colpendo gravemente le viti veronesi, dove si è sviluppato il ceppo più virulento e trasmissibile; si pensa sia pericolosa quanto la "filossera" che ha danneggiato i vitigni italiani nel secolo scorso. Probabilmente l’infezione, aiutata dalla presenza di boschi, salirà lungo la Valdadige verso il Trentino. Negli anni scorsi non ha provocato grossi danni perché alternava lunghi periodi di latenza ai periodi di attività che ora purtroppo vanno diminuendo sempre di più, come dimostrano i dati compiuti negli ultimi anni a livello veneto. L’abbattimento di tutte le piante infette è un grosso sacrificio a livello economico che richiede la collaborazione degli agricoltori, tuttavia resta l’unica strada percorribile

IL MAL BIANCO DELLA VITE: L’OIDIO

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Sugli acini invece, produce un’efflorescenza bianca sotto la quale il pericarpo assume un color grigio cenere. La polpa dell’acino continua ad accrescersi internamente mentre la buccia, ostacolata nello sviluppo della malattia, si rompe con fenditure profonde. Quindi il grappolo si rovina completamente favorendo gli attacchi della muffa grigia.L’oidio della vite apparve nel nostro continente nel 1845 quando un certo Signor Tucker segnalò piante in serra situate vicino Londra. L’oidio si espanse in Italia (1850) e nei vigneti della Gardesana nel 1851 facendo gravi danni prima che vi si scoprisse rimedio. Quest’ultimo consiste nello solforare le piante prima che il fungo si insedi e fu proposto nel 1845 da Goutier, personalità francese. A dire il vero, due anni prima l’italiano Agostino Bassi affermò l’efficacia dei trattamenti di zolfo.

Visitando i vigneti del Bardolino, si nota che le estremità dei vigneti sono spesso accompagnate da piccoli rosai (talvolta ce n’è uno per ogni singolo filare). Oggi la loro funzione è prevalentemente decorativa ma un tempo agivano da segnalatori e premonitori della presenza dell’oidio dato che sulle foglie della rosa è facile l'attecchimento del terribile morbo. Un’eventuale indicazione serve per dare il via al trattamento del vigneto.

La malattia dell’oidio è dovuta all'agente patogeno Uncinula necator nella forma ascofora e Oidium tuckeri in quella conidica. Causa danni particolarmente gravi soprattutto ai vigneti collinari e pedecollinari.

Gli oidi sono degli ectoparassiti e il loro attacco si limita ai tessuti sottoepidermici; il micelio di questo fungo vive all’esterno dell’ospite aggredendone le cellule più esterne con ramificazioni specifiche, gli appressori e gli austori. All’esterno il parassita si mostra attraverso la formazione di una muffetta biancastra che porta fruttificazioni agame. Attraverso l’utilizzo del microscopio ottico siamo riusciti ad analizzare l’oidio di una pianta di Rosa sp.La conservazione dell’oidio da un anno all’altro è affidata a corpi ascofori (cleistoteci) che si formano fin dall’estate all’esterno delle foglie infette. Questi contengono al loro interno degli aschi che producono numerose ascospore le quali a loro volta, ripropongono l’infezione primaverile estiva in cui i conidi si differenziano e si dispongono nella tipica forma a catenella.L’oidio attacca tutti gli organi verdi della vite manifestandosi sulle foglie con una sottile efflorescenza di color bianco grigiastro che in seguito diventa polverulenta e forma chiazze sparse su entrambe le pagine della foglia.


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TIGNOLA DELL'UVA

L'adulto della Tignola (dal latino Eupolicilia ambiguella) è una piccola farfalla che ha le ali anteriori gialle mentre le posteriori sono grigie. Le uova di questo insetto, deposte nel periodo che va da Aprile a Maggio, danno vita a larve che penetravano nei boccioli fiorali forandoli e avvolgendoli con fili sericei. La seconda ed eventualmente anche la terza generazione di queste larve colpisce gli acini più grossi rodendone la polpa. Gli acini colpiti cadono a terra mentre i rimanenti in genere vengono attaccati dalla muffa grigia.

 

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               TIGNOLETTA DELL'UVA

Anche l'adulto di questa Tignola è una piccola farfalla che produce larve di colore verdastro le quali attaccano i boccioli fiorali nella prima generazione e gli acini nella seconda e terza. L'attacco di questo parassita può favorire in genere l'infezione della muffa grigia causando danni ingenti alla vendemmia.

FILOSSERA

Fin dai tempi antichi la vite è stata colpita da numerose malattie, tra tutte però, a partire dalla seconda metà del XIX secolo nessuna fu più dannosa della Filossera. Proveniente dall'America Settentrionale è un insetto della famiglia degli afidi: compie le sue metamorfosi, prima è larva, diventa poi ninfa, infine farfalla. La Filossera si propaga con estrema rapidità e può generare come pidocchio o come farfalla. Quando una vite viene colpita da questa malattia le radici perdono vigore, i frutti non maturano e la pianta muore dopo tre anni. Le farfalle della Filossera possono volare solo se sospinte dal vento, depositano il loro uovo o sulla corteccia di una vite o sulle foglie oppure in terra. Noti sono i danni che la Francia ha subito a partire dal 1876 in poi quando si verificò la prima invasione della filossera. In 10 anni 500.000 ettari di vigneto andarono distrutti; cominciò da questo momento una lunga e difficile lotta contro questo dannoso insetto attraverso insetticidi, sommersioni e piantamenti nelle sabbie e impianto di viti americane.

In Italia la Filossera arrivò per la prima volta nel 1879 nella provincia di Como e si diffuse con rapidità nell'intera penisola. La prima comparsa della filossera nei vigneti veronesi di Costermano e Rivoli risale al 1910.

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LA PERONOSPORA

La Peronospora, causata dal fungo Plasmopara viticola, è la malattia maggiormente diffusa in ambienti viticoli caratterizzati da condizioni di elevata piovosità e umidità. Colpì per la prima volta i vitigni di Villafranca nel 1880, essa è responsabile di seri danni alla vegetazione, che si manifestano con perdite di produzione per effetto delle ripetute infezioni che interessano prevalentemente foglie, infiorescenze e grappoli. Le sue infezioni si diversificano da un luogo ad un altro e possono essere di diversa intensità da un anno all'altro tanto che vi sono annate caratterizzate da attacchi peronosporici molto precoci e da annate nelle quali i sintomi della malattia compaiono molto in ritardo riducendo così gli effetti dannosi.



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Tali periodici flagelli portarono ad una salutare selezione dei vitigni ed ad una scelta più oculata dei terreni adatti alle viti, quindi la viticoltura nelle valli venne abbandonata ancora ristringendo all'area collinare questa coltivazione. Durante la stagione autunnale si ha la formazione di oospore che riescono a sopravvivere al periodo invernale e si trovano sulle foglie marcescenti che si trovano a terra. Nella primavera successiva la spora emette un grosso conidio che genera zoospore autrici dell'infezione primaria. Dal micelio originato da questa zoospora dopo un certo periodo di tempo vengono emessi rami conidiofori ramificati, portanti i conidi costituiscono la famosa "muffa bianca". La germinazioni dei conidi determina le tipiche infezioni secondarie compaiono aree decolorate in corrispondenza delle quali le foglie prima ingialliscono e poi si ricoprono di un'efflorescenza bianco - grigiastra e alla caratteristica "allessatura" dei piccioli e la rovina degli acini, che assumono dapprima un colore violaceo grigiastro e poi si raggrinzano e quindi si seccano. Il più classico rimedio contro questa malattia consiste nell'irrorare al momento opportuno ma ripetutamente le piante con una soluzione in latte di calce di solfato di rame.

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