Introduzione |
In questa parte del lavoro riguardo la condizione della donna nel Medioevo parleremo in particolare del confronto sul piano letterario tra Geoffrey Chaucer e Giovanni Boccaccio nell'ambito della descrizione della donna emancipata. Tratteremo dei punti in comune e delle differenze nel ritratto della figura femminile dei due autori, evidenziandone l'aspetto psicologico e comportamentale. Prenderemo in considerazione soprattutto la donna emancipata impegnata in affari commerciali e lavori che prima erano prevalentemente svolti dagli uomini. Un altro tema importante è quello dell'amore, che può essere vissuto dalla donna in due modi: o a carattere soggettivo, la donna cioè che prova dei sentimenti amorosi in prima persona, oppure vista come oggetto di desiderio dall'uomo. Rispetto a Dante e agli Stilnovisti ora il corpo femminile acquista sensualità, prediligendo l'aspetto terreno e carnale delle passioni. Analizzeremo infine lo stile, il diverso uso di tecniche e artifici letterari mirati a fornire un ritratto minuzioso a volte anche con una forte dose di ironia.
La donna e il commercio |
Definire la donna e tracciare una sua autonoma storia nei diversi contesti sociali è difficile e la difficoltà non è casuale: la subordinazione della donna all'uomo è millenaria e non si situa solo nella sfera delle relazioni familiari, sociali ed economiche; la donna non è mai stata considerata e non si è, per un lunghissimo tempo, considerata un soggetto autonomo, in grado di creare eventi.
La storia della donna è quindi spesso l'ombra dell'altra storia, fatta di imprese, idee e rivoluzioni di cui l'uomo è l'unico protagonista. Il filo conduttore nella riflessione sulle donne è la constatazione di una disuguaglianza tra i sessi, di una discriminazione fondata sulla diversità biologica trasformata in un giudizio di inferiorità per il sesso femminile. Resta da chiedersi che cosa ci sia all'origine di questa disuguaglianza: secondo alcune interpretazioni che si rifanno alla mitologia, è la capacità esclusivamente femminile, di creare nuova vita che ha provocato la paura e il risentimento degli uomini: un mito persiano dice che è la donna a creare il mondo e lo fa con un atto di creatività naturale che è suo e non può essere duplicato dall'uomo. Mette alla luce un gran numero di figli, i quali, grandemente stupiti da questo atto che essi sono incapaci di ripetere, si spaventano. Pensano: "Come possiamo essere certi che così come dà la vita non possa anche toglierla?" E così a causa della loro paura di questa misteriosa capacità della donna e della sua eventuale reversibilità la uccidono.
La società nel primo Medioevo non offriva alcuna garanzia di eguaglianza tra i due sessi. Maschi o femmine che fossero, non erano uguali né quanto a diritti, né davanti alla legge, né quanto a partecipazione alle responsabilità, alle cariche e dignità politiche. Accanto alla disuguaglianza giuridica esistevano rigide diversità sociali; nonostante ciò, le divisioni tra i vari strati sociali non erano affatto insuperabili. Esisteva infatti mobilità sociale, ed erano possibili ascese e declini che modificavano lo status giuridico dei singoli. Dobbiamo distinguere infatti tra la posizione giuridica di una persona e la sua collocazione sociale.
La popolazione delle città medioevali era quindi giuridicamente e socialmente composita: vi erano uomini al servizio del signore della città, mercanti che godevano della protezione del re durante i loro viaggi, ministeriali ovvero uomini di servizio di rango elevato. Molte delle persone che si recavano a vivere in città portavano con sé gli oneri e i legami cui erano sottomessi in campagna. Le città in pieno sviluppo infatti, offrivano molteplici nuove possibilità per fondare un'attività produttiva o per crearsi una nuova vita. Il lavoro femminile contribuì in larga misura allo sviluppo economico delle città medioevali; la stessa economia altomedievale sarebbe impensabile senza il contributo delle donne, ma è dagli inizi del dodicesimo secolo, con lo sviluppo dell'economia cittadina, che in Europa si registrarono essenziali trasformazioni nell'organizzazione del lavoro. Numerose donne tentarono la via del piccolo commercio di merci di propria produzione oppure acquistate da terzi o importate. Grande e piccolo commercio spesso venivano esercitati da una stessa famiglia, per lo più alle donne era affidato il commercio al dettaglio, mentre gli uomini si muovevano altrove per affari di maggiore portata. C'è tuttavia anche un gran numero di donne che esercitavano in proprio il grande commercio.
L'età d'oro delle grandi commercianti europee comincia però solo nel XIV e XV secolo, quando anche nel resto d'Europa si diffonde il costume della partecipazione di donne alle società di commercio. Ma nonostante un numero relativamente alto di esempi di società commerciali a partecipazione femminile, questa forma di commercio restò piuttosto atipica per le donne, diffusa prevalentemente nei grandi centri di commercio su vasta scala e di esportazione. Per quanto riguarda il successo che le donne mercanti hanno avuto, si possono fornire solo indicazioni sparse: è un dato di fatto che per le donne fosse molto più difficile accumulare un patrimonio attraverso i commerci, vi erano donne che avevano depositi all'estero, a testimonianza dell'ampio raggio dei loro commerci. Molte erano le donne attive nel settore del commercio al dettaglio, spesso associate a coppia, e frequentemente tale attività era solo secondaria rispetto a quella prevalente di casalinga. Naturalmente, le donne che si occupavano dei commerci a lungo raggio, data la necessità di stare assenti per lunghi periodi di tempo, non potevano invece occuparsi della casa e della famiglia. A sostegno di ciò si nota che, dall'alto al basso della scala sociale, le donne non restano così confinate in casa e sottomesse allo sposo quanto desidererebbero i mariti.
Non solo nel campo commerciale, ma anche nel settore contadino e artigianale, le donne sono attivamente impegnate. Inoltre, fin dalla più tenera età le donne erano educate a filare, a tessere, a cucire e ricamare senza posa. Questa incessante attività tessile ha certamente una funzione economica: risponde alla necessità del consumo domestico ed è anche volta verso la ricerca di guadagni che vengono dall'esterno. Molte donne esercitano, soprattutto prima delle crisi del Trecento, un'attività più autonoma, fuori dalla famiglia; ed è per questo che quest'ultime si collocano fuori dall'ordine "naturale" assegnato al sesso femminile dalla società medievale. La loro reputazione quindi è senz'altro macchiata: vedove isolate, indigenti che guadagnano il loro pane filando, domestiche, recluse che vivono fuori da una comunità religiosa, tutte sono presto sospettate di cattiva condotta e facilmente accusate di prostituzione. Senza dubbio questi motivi giustificano lo scarso numero delle lavoratrici autonome e delle donne che lavorano in proprio nell'artigianato e nel commercio. Tali ambiti richiedevano una preparazione scolastica e professionale sempre più mirata, quindi restarono inaccessibili per le donne, la cui educazione si restringeva sempre più al campo familiare; ma sebbene i vincoli familiari e la vita matrimoniale mantenessero importanza verso la fine del medioevo, tuttavia nelle città tardo medioevali il numero delle persone non sposate era considerevole. Si potevano trovare parecchie donne nubili nelle città, dove c'era un mercato del lavoro per il "gentil sesso" fino a quando erano fisicamente forti e in grado di lavorare. Proprio i lavori preliminari e marginali della produzione tessile erano tipici delle persone sole, ciò si nota ad esempio nella lingua inglese con la parola spinster, che oggi significa "zitella". In effetti queste donne erano legalmente ed economicamente indipendenti, però la loro posizione sociale era nella maggior parte dei casi molto bassa.
Nelle prime due fasi del medioevo, sotto l'intramontabile camicia, uomini e donne portavano un paio di braghe in lino, di media lunghezza legate ai fianchi con una cintura. A partire dall'alto medioevo, sotto l'abito vero e proprio le donne usavano portare una sottoveste lavorata, visibile in molti punti. In seguito, con l'introduzione di vestiti con gonne molto lunghe, larghe e con spacchi, si iniziò a fare a meno della sottoveste. Altro capo fondamentale dell'abbigliamento femminile era il mantello, che generalmente era di panno e poteva essere ornato riccamente con perle e pietre preziose; vi erano naturalmente mantelli di varia foggia: a forma semicircolare, tenuti in vita da una cintura, piccoli o grandi. In quell'epoca si ricercava particolarmente il lusso, si curavano le buone maniere in modo da mostrare a tutti il proprio benessere, talvolta anche in forme che potevano mettere in pericolo il buon costume: la donne si pavoneggiavano dei loro mariti, della loro bellezza e dei loro vestiti; persino in chiesa, facevano a gara per essere le prime a fare l'elemosina.
Instancabili nell'escogitare nuovi ornamenti, non si accontentavano di avere dei vestiti dai colori naturali, ma ne cercavano sempre di più nuovi e strani. A causa di tutto questo sfarzo sorse una dura polemica contro le donne che si truccavano e si vestivano sontuosamente; esse, contrariamente all'ordine voluto da Dio privilegiavano la vile esteriorità del corpo che veniva sottolineato dall'eccessivo compiacimento per un abito che lo fascia, o per il colore di una stoffa che lo valorizza.
Il trucco in particolare rivela una superbia sconfinata: la donna che dipinge di rosso le sue guance o che nasconde i segni dell'invecchiamento sotto i belletti e le parrucche era da considerare al pari di Lucifero. L'amore per gli abiti e gli ornamenti evidenzia anche un incontenibile desiderio di mostrare il corpo agli altri, le donne dunque si vestivano elegantemente per uscire, al fine di essere apprezzate, desiderate, invidiate; molte di esse poi usavano abiti sfarzosi e ornamenti preziosi per apparire più nobili e più ricche di quanto fossero in realtà.
Giovanni Boccaccio |
Boccaccio, insieme a Dante e Petrarca, è considerato uno dei più importanti poeti del Trecento e uno dei pochi narratori in grado di rappresentare nell'ambito della prosa la letteratura italiana.Grazie a Boccaccio quest'ultima diviene un modello per tutta l'Europa. L'influenza del poeta fiorentino si fa sentire, attraverso i secoli, anche nella mentalità comune;nella lingua italiana esiste addirittura un aggettivo,"boccaccesco"(per indicare situazioni di beffe scostumate, di sensualità allegra e grossolana), che fa ben capire quale aspetto del capolavoro di Boccaccio, ovvero il Decameron, abbia più colpito la fantasia popolare attraverso i secoli.
Giovanni Boccaccio nasce fra il giugno e il luglio del 1313 a Certaldo o a Firenze,figlio illegittimo di Beccaccino, mercante e cambiatore molto ricco. Intorno ai quattordici anni è a Napoli, a far pratica mercantile e bancaria nella succursale del banco fiorentino dei Bardi, di cui il padre è socio. Ma il mestiere di mercante non fa per lui, e non è neppure interessato agli studi di diritto a cui il padre tenta di avviarlo in un secondo tempo. Napoli è una città vivace e aperta: grazie al prestigio paterno Boccaccio è ammesso alla corte angioina, si da alla vita mondana, ai divertimenti, agli amori, e si accosta con entusiasmo alle ricche suggestioni culturali che animano l'ambiente intellettuale (i romanzi francesi, le grandi opere latine, la poesia provenzale e fiorentina).
Ben presto scopre che il suo desiderio più profondo è quello di "inventare finzioni" e di diventare un grande poeta. In questi anni scrive moltissimo, mescolando tante influenze e ambizioni: la volontà di trasportare nella lingua volgare l'eleganza degli autori francesi e latino; il gusto per gli intrecci romanzeschi e per l'analisi delle passioni; l'intenzione di rispondere alla richiesta di un pubblico aristocratico, specialmente femminile. Intorno al 1340 il fallimento della compagnia dei Bardi e l'inasprirsi dei rapporti tra Napoli e Firenze, costringono Boccaccio a tornare a Firenze. Il brusco mutamento di ambiente e le ristrettezze economiche con cui deve misurarsi per la prima volta a causa dell'assenza di un'occupazione stabile, hanno su di lui un impatto sgradevole. Cerca invano una sistemazione dapprima a Ravenna, poi a Forlì, senza alcun risultato. Il passaggio da Napoli a Firenze segna una svolta importante nell'opera di Boccaccio: da un lato si misura più da vicino con la tradizione fiorentina e col grande modello di Dante; dall'altro si distacca gradualmente dall'influenza della letteratura cortese per accentuare una tendenza alla rappresentazione vivace e realistica che troverà il suo culmine nel Decameron. Fra il 1360-61 si ritira a Certaldo dove muore nel 1375.
Boccaccio cominciò a scrivere il suo capolavoro subito dopo la fine della peste che colpì Firenze nel 1348; l'opera era conclusa già nel 1351 e il titolo Decameron deriva dal greco approssimativo "Deca eneroin" che significa "dieci giornate". Fin dalle prime pagine il libro è dedicato esplicitamente alle donne; il suo scopo è "cacciare la malinconia" che le opprime quando sono preda delle sofferenze amorose e non possono distrarsi con quella attività e quegli svaghi che sono riservati agli uomini. "In soccorso e rifugio" delle sue lettrici, "ristrette da'voleri, da'piaceri, da'comandamenti de'padri, delle madri, de'fratelli e de'mariti" e costrette a star rinchiuse "nel piccolo circuito delle loro camere", Boccaccio scrive cento favole dedicate a "piacevoli e aspri casi d'amore e altri fortunosi avvenimenti "
Per scappare alla peste che infesta Firenze, una brigata di dieci giovani, sette ragazze e tre ragazzi di famiglie benestanti e di raffinata educazione, decidono di recarsi fuori città, in un palazzo del contado e di passare il tempo passeggiando, scherzando e raccontando novelle. I giovani restano fuori città per due settimane, ma di questi quattordici giorni solo dieci sono impegnati nelle novelle, infatti il novellare viene interrotto il venerdì e il sabato di ogni settimana. La brigata decide di eleggere ogni giorno un re e una regina che avranno il compito di decidere l'organizzazione della giornata e l'argomento delle novelle. Restano senza argomento preciso solo la prima giornata e la nona. Si crea così una cornice per la narrazione delle novelle, che saranno cento (dieci per ogni giornata): questa cornice è ripresa nell'introduzione a ciascuna giornata e nella conclusione.
I temi dominanti del Decameron sono l'amore, l'intelligenza, la fortuna e il loro reciproco rapporto. L'amore è una forza della natura: tentare di opporsi ad essa è vano, chiudere gli occhi di fronte ad essa è ipocrita. Ciò non significa che bisogna sottoporsi incondizionatamente alla forza del "concupiscibile appetito", dell'istinto. E' necessaria anche una resistenza: essa assume le forme dell'onestà, che una virtù sociale, e della gentilezza, che è invece una virtù individuale. Se l'uomo risulta condizionato da "due ministre del mondo", che sono appunto la fortuna e la natura, l'ingegno può servire a controllare, almeno in parte, la natura.
Attraverso il novellare dei dieci giovani vengono definiti i caratteri di una nuova etica, non più organica e precettista, ma aperta, problematica. La realtà umana viene considerata nel Decameron in una prospettiva pienamente laica. Il richiamo alla natura come fondamento dell'amore era già in Andrea Capellano, ma Boccaccio ne sviluppa spregiudicatamente l'aspetto naturalistico: la natura diventa un concetto chiave che legittima la forza e la libertà dell'amore in tutte le sue forme sia contro la repressione religiosa e familiare, sia contro ogni astratta idealizzazione. Non esiste nel Decameron il conflitto tra spiritualità e sensualità, che è invece presente nella cultura del Trecento. Quest'idea dell'amore comporta una particolare valorizzazione del ruolo della donna e del rapporto tra i sessi. Proprio l'eros e la sensualità femminile tradizionalmente repressi e condannati, sono rivalutati con grande spregiudicatezza da Boccaccio. Dal piano più elementare del puro istinto sessuale a quello più elevato della partecipazione passionale, l'amore non esiste senza il coinvolgimento del corpo.
L'istinto amoroso è una forza trasgressiva: fa cadere tutti i tabù, da quello della verginità a quello della castità e della fedeltà coniugale. Con ciò il Boccaccio supera decisamente i limiti della concezione cortese dell'amore: questo diventa una forza eversiva che tende a una potenziale democrazia tra i sessi e tra i diversi ceti sociali. Tuttavia, pur attraversando le barriere sociali, l'istinto erotico non arriva a mettere in discussione l'ordine borghese, ma solo i suoi aspetti autoritari e repressivi. Così, pur legittimando l' adulterio, Boccaccio non va contro il matrimonio: l'amore spesso si conclude con questo anche nelle novelle di ambiente cortese.
In Boccaccio le donne acquistano dignità di personaggi per la prima volta nella nostra letteratura: la donna non solo è oggetto, ma anche soggetto di desiderio, né ha timore di esprimere i propri desideri erotici. La donna è anche capace di coraggio, dà prova di ingegno e di virtù, ma la sfera della sua azione è sempre ed esclusivamente limitata all'ambito erotico.
Appare in Boccaccio la consapevolezza di quanto questo ruolo esclusivamente erotico, considerato un dato naturale, condanni la donna alla marginalità sociale;legata al sesso e alla maternità la donna è amata finché giovane e bella, ma poi è considerata buona a nulla.La donna nel Decameron non è più la donna angelo: è la donna borghese, che unisce la naturalità del popolo alla nobiltà d'animo cortese, l'amore all'intelligenza e all'ingegno.
"Esser ti dové, Tancredi, manifesto, essendo tu di carne, aver generata figliuola di carne e non di pietra o di ferro", così Ghismunda pone l'accento sull'aspetto materiale dell'uomo e rivendica i diritti del corpo per legittimare il proprio desiderio d'amore e di felicità. Il corpo è il fondamento biologico dell'essere considerato innanzitutto nella sua fisicità. Il corpo non solo assume dignità in quanto espressione dell'anima, ma afferma anche un valore e un'autonomia propria: la felicità non può prescindere dalla vitalità e dalla soddisfazione del sesso. Nel Decameron il corpo, la donna e il sesso diventano la bandiera di una rivoluzione culturale; è infatti il corpo femminile ad attirare soprattutto l'attenzione del Boccaccio.
Le modalità di rappresentazione dei corpi variano in rapporto al cambiamento dei personaggi e degli ambienti sociali. In genere si può parlare di due tipi di corporalità, una ispirata alla bellezza cortese e un'altra grottesca; essi si riferiscono rispettivamente a personaggi elevati e a personaggi popolari. Tuttavia, anche quando, nelle opere giovanili, l'immagine del corpo è caratterizzata in senso cortese, essa appare sottratta alla stilizzazione tipica della letteratura stilnovistica e assume consistenza e visibilità. Il denudamento del corpo femminile diventa espressione della nuova realtà della donna terrena, contrapposta alla donna angelo. Uno svuotamento del modello stilnovista e comunque un rovesciamento dello schema di corteggiamento cortese nella novella della vedova e dello scolaro: quest'ultimo, rifiutato, infligge una punizione esemplare alla donna altera, vuota e crudele. E' il rifiuto del desiderio maschile della disponibilità ad amare da parte della vedova che fa scattare la punizione sul corpo della donna. Anche nella novella di Nastagio degli Onesti la bellissima donna ignuda della visione è straziata dai cani e dalla spada del cavaliere in una scena non priva di sadismo erotico: il corpo femminile che si sottrae dal desiderio è aggredito e distrutto, quasi non ci fosse altro modo di condurre a ragione "questi animali senza intelletto". Esiste tuttavia una gerarchia sociale dei corpi femminili: le donne di grado sociale elevato, oltre al corpo, hanno un'anima; quelle che si collocano ai gradini più bassi in genere conoscono solo la forza degli istinti e raramente dimostrano gentilezza d'animo.
Nel complesso, si può dire che l'ideale cortese del corpo viene conciliato, nel Decameron, con quello borghese: la proposta di Boccaccio in quest'opera consiste in un equilibrio ancora aristocratico fra rispetto dei diritti della corporalità e necessità di gentilezza d'animo e di onestà. Questo equilibrio viene invece rinnegato nel Corbaccio, dove la posizione di Boccaccio cambia bruscamente. Questo mutamento è stato spiegato come un cambiamento di poetica; tuttavia è anche un segno della precarietà di tale apertura al mondo femminile. La concezione aperta e spregiudicata della vita che si afferma nel Decameron permette al poeta fiorentino la rappresentazione di una fenomenologia amorosa estremamente varia e viva, in cui la donna gioca un ruolo importante. Caduto però l'interesse per l'eros e per la poetica che ad esso si ispirava, la donna, il corpo, il sesso diventano di nuovo una forza negativa da esorcizzare e condannare; esiste infatti un bisogno di censura e di repressione del corpo, la negazione e il rifiuto della donna e di tutto ciò che essa aveva significato nel Decameron.
Geoffrey Chaucer |
He was born between 1340 and 1345 into a middle-class family. He studied Latin, the classics, French and Italian. He travelled a lot also in Italy in 1372 and 1378, so became acquainted with the italian culture of Dante's, Boccaccio's and Pertarca's works. After being in Italy he became a member of the Parliament in 1386. He died in London in 1400. He's considered a revolutionary poet because he decided to write in english which he definitely promoted as the literary language of the British Nation in his works. In fact in England there were three spoken languages: French, Latin and English. French was spoken by the high Norman class, Latin by the clergy, while English was spoken by the most of the population.
Chaucer introduced metrical innovations which were very important for the development of the English poetry: he invented the use of rhyme and of two rhyming pentameters called Heroic couplet.
His most important works are Roman de la Rose, The Book of the Duchess, The House of Fame, an unfinished work, and the most important Canterbury Tales.
The Canterbury Tales were begun in 1387 and were still not finished when he died. In this collection of tales each of the twentynine pilgrims directed to the shrine of Thomas à Becket had to tell two stories on the way to Canterbury and two stories on the way back to London. The teller of the best tale would have a free dinner at the Tabard Inn after being judged by the host of the Inn. In the Canterbury Tales we have a detailed portrait of each character, given by the autor, often with the use of irony. Story-tellers belong to all social classes except of the richest and poorest; the first because they travelled themselves and not with common people, the second because they couldn't afford to travel. All the descriptions are full of details and Chaucer through clothes and the behaviour lets us know the character of each story-teller.
The wife of Bath |
v. 9 - her headkerchiefs were of the finest weave
v. 12 - her stockings were of the finest scarlet red, v. 13 - very tightly laced; shoes pliable and new v. 14 - she had a bold face and handsome and florid, too; v. 24 - she was gap-toothed (according to a belief of the time, teeth widely spaced significated a sign of lascivious nature) v. 26 - well wimpled, wearing on her head a hat v. 28 - a riding skirt round her enormous hips v. 29 - also a pair of sharp spurs on her feet |
v. 1 - there was a business woman, from near
Bath, v. 3 - so skilled a clothmaker v. 15 - she had been respectable all her life v. 16 - and five times married, that's to say in church v. 17 - not counting other loves she'd had in youth v. 19 - she had thrice been to Jerusalem v. 20 - had wandered over many a foreign stream v. 21 - and she had been at Rome, and at Boulogne, v. 22 - St. James of Compostella, and Colougne, v. 23 - she knew all about wandering - and straying |
v. 3 - so skilled a clothmaker, that she
outdistanced v. 4 - even the weavers of Ypres and Ghent. v. 5 - In the whole parish there was not a woman v. 6 - who dared precede her at the almsgiving, v. 7 - and if there did, so furios was she, v. 8 - that she was put out of all charity. v. 30 - in company, how she could laugh and joke! v. 31 - no doubt she knew of all the cures of love, v. 32 - for at that game she was a past mistress. |
Chaucer and Boccaccio |
Chaucer, like Boccaccio in Italy, is probably the first humanist in English literature and the first realist in portraying personal and social relations. Maybe he borrowed from Boccaccio's Decameron the device for stringing together a collection of stories; the two writers have also in common the use of irony to underline the defects, especially the physical ones, of the single characters. In particular they focus their attention on the condition of women in that time. Though apparently influenced by Boccaccio, the tales and the Prologue show how deeply Chaucer differs from the Italian writer. In Boccaccio, in fact, the story tellers are young gentlemen and ladies all belonging to the same social class and hardly distinct from each other. Chaucer, instead, chose strongly individualized pilgrims from the most different classes. Boccaccio wasn't analytical in his way of writing and focused his attention above all on manners. Chaucer was more precise and tried a psychological study of the single characters through a very detailed description of the middle class of his time. But probably Chaucer's stroke of genius, which is absent in Boccaccio, was to turn himself into a member of the group, pretending to go on a pilgrimage with the others. By becoming a character in his own book, he became an even more believable eyewitness.