GLI
ACQUEDOTTI
Il
primo passo nella costruzione
di un acquedotto era la
ricerca di una sorgente
copiosa. Vitruvio ci indica
i metodi di ricerca della
fonti basati sull'osservazione
diretta della vegetazione,
del terreno e dell'umidità
dell'aria. Scoperta la
sorgente si poneva un
problema di determinare
le qualità organolettiche
e quindi di stabilire
se ne fosse possibile
e conveniente l'utilizzazione.
A tale scopo Vitruvio
consiglia di osservare
le condizioni degli abitanti
locali. L'acqua della
sorgente veniva convogliata
in un grande bacino. La
scelta del percorso e
la realizzazione dell'acquedotto
stesso rappresentavano
il lavoro più complesso.
Il compito degli ingegneri
era quello di mantenere
i canali con una pendenza
leggera e costante per
far defluire le acque
naturalmente e a pelo
libero. Si doveva tener
conto con precisione del
rilievo topografico e
delle distanze da percorrere,
spesso considerevoli.
Gli ostacoli naturali,
come monti o valli,
dovevano essere superati
senza perdere quota. Se
il monte interposto non
era molto alto veniva
perforato. Quando ciò
non era possibile si ricorreva
al suo costeggiamento
a costo di un percorso
più lungo e tortuoso.
Problema simile sorgeva
nel caso delle valli.
Se la valle non era molto
profonda e ampia si procedeva
alla costruzione di arcate
capaci di sostenere il
canale; in caso contrario
si costeggiava la valle.
L'impressionante fila
di arcate che si stendono
per chilometri e offre
una spettacolare prova
del prestigio e della
capacità dei costruttori
romani. Il canale di un
acquedotto sia sopra terra
che nel sottosuolo era
generalmente una galleria
sufficientemente ampia
da permettere il passaggio
di un uomo. A distanze
regolari erano previsti
dei pozzetti al fine di
permettere ispezioni e
riparazioni. Per lo stesso
motivo il percorso di
un acquedotto, segnalato
da cippi che ne delimitavano
la fascia di rispetto,
era affiancato da strade
di servizio.
IL
LEGNO E LA CANTIERISTICA
NAVALE
La
cantieristica navale era
l'autentica forza divoratrice
delle zone boschive, a
cui si chiedevano continuamente
diversi tipi di legno
per la costruzione e la
manutenzione di
una flotta per lo più
mercantile. Di fabbricazione
locale e d'impiego comune
dovevano essere già le
"fluviatiles naves
ad superanda vada stagnorum
apte planis alveis fabricatae"("navi
che servono per navigare
i fiumi e superare i guadi
degli stagni fabbricate
con la chiglia piatta"),
e i battelli destinati
al trasporto dei passeggeri("naves
cursoriae"). Alla
navigazione interna provvedevano
l'agile"carabus",
la piroga"monxyla".
Al "pontium",
invece, un tipo do imbarcazione
particolarmente pesante,
era affidato il trasporto
di marmi, di laterizi,
del materiale da costruzione
in genere.
COMMERCIO
E LAVORAZIONE DEL LEGNO
Il
trasporto delle varie
merci e quindi anche del
legname, vedeva impegnate
in prima linea le potenti
associazioni professionali
dei "nautae"
e dei "navicularii".
La lavorazione del prodotto
grezzo aveva raggiunto
alti livelli tecnici già
nell'esecuzione dei cocchi
raffiguranti sulle stele
paleovenete. Si noti anche
la produzione di carrozze,
carri, calessi. Sono i
"fabri" ad essere
addetti alla lavorazione
del legno anche se si
occupano pure di quelle
dei metalli e di altri
metalli in genere.
IL
COLLEGIO DEI "DENDROFORI"
Si
tratta della tipica corporazione
dei lavoratori del legno,
comprendente non solo
boscaioli ed artigiani,
ma anche grossisti e trasportatori
di legname dalle zone
di taglio a quelle dello
smercio e della lavorazione.
La loro presenza è testimoniata
da diversi epigrafi anche
in territorio Veronese.
LE
PALUDI
Come
era avvenuto nel basso
Egitto, si era provveduto
al prosciugamento di alcune
zone, restituite alla
coltivazione e alla costruzione
di "fossae",
di argini e di canali
anche navigabili. Il clima
di crisi politica, sociale,
economica e topografica
che deve aver interessato
anche le città e le campagne
dell' Italia settentrionale
ci si avviava verso un
lento ma progressivo abbandono
delle difese idriche,
che assieme al disboscamento
intensivo e al deterioramento
della situazione ambientale,
causato dall'innalzamento
del livello marino, può
aver provocato o almeno
contribuito a rendere
catastrofico sul finire
del IV secolo d.C. l'"aquae
dilivium in finibus veneciarun".
PESCA,
CACCIA E APICOLTURA
La
pesca, praticata nell'antichità
anche dai benestanti come
rilassante passatempo,
riforniva i mercati di
Altino dei prelibati "pectines".
Da ricordare una "lex
capturae", ossia
un regolamento in base
al quale gli abitanti
del pagus potevano esercitare
il loro diritto di caccia
e di pesca in un ben circoscritto
"locus privatus"
solo dietro versamento
di una somma paria 10
sesterzi. Tutta
Venezia doveva apparire
un' immensa riserva cui
attingere per la normale
alimentazione quotidiana,
ma soprattutto durante
le carestie. La selvaggina
doveva essere composta
da anatre selvatiche,
folaghe, germani e cinghiali.
Anche l'apicoltura doveva
occupare una posizione
di grandissima importanza.
Fra i suoi prodotti, non
tanto la cera, quanto
piuttosto il miele era
considerato insostituibile
perché assolveva a tutte
le funzioni dello zucchero
e costituiva un ingrediente
assolutamente indispensabile
alla cucina romana.
L'ALLEVAMENTO
E'
probabile che in epoca
romana la vasta zona prealpina
sia stata riservata alla
migrazione estiva del
bestiame. Ne è un labile
indizio il racconto straboniano.
Nella descrizione virgiliana
si accenna ad un'epidemia
abbattutasi in modo talmente
violento da sospendere
la transumanza. All'apparire
della bella stagione è
probabile che gruppi di
pastori abbiano ripreso
a condurre il bestiame
in montagna. In pianura
sarebbero invece rimasti
gli animali dell'allevamento
stanziale. Il paesaggio
veneto si presentava come
tutto un pullulare di
pascoli o di singoli animali.
GLI
EQUINI
Importante
per l'economia della regione
veneta doveva essere l'allevamento
dei cavalli che vantava
tradizioni antichissime,
forse risalenti ad Omero.
L'importanza di questo
allevamento trova anche
conferma in una fitta
documentazione archeologica
costituita da vasi, fibule,
lamine, figure fittili
e bronzetti. Opeano Veronese
poi, ma soprattutto Altino
testimoniano presso i
Veneti la diffusione del
rito della sepoltura del
cavallo.
I
SUINI
Sebbene
meno celebrato di quello
equino anche l'allevamento
dei suini doveva occupare
nelle regioni settentrionali
dell'Italia quella ragguardevole
posizione che tutt'ora
detiene. La nostra regione
offriva condizioni estremamente
favorevoli all'allevamento
brado dei suini nei diffusi
acquitrini.
L'INDUSTRIA
TESSILE
Una
prima notizia di carattere
generale, riferibile al
I secolo a.C., verte che
la lana cisalpina e quella
apula sembrano simili
soltanto al profano perché
in realtà la seconda,
seppure maggiore nel prezzo
ha una resa migliore.
LAVORATORI
E COMMERCIANTI
A
Verona solamente due semplici
iscrizioni fanno conoscere
prima un "vestiarius",
cioè un sarto se non un
grosso artigiano magari
addetto anche alla commercializzazione
dei propri manufatti,
nella persona Quinto Cazio
Fotino e poi un certo
Licinio Mistico("tinctor
tenuarius"), addetto
al lavaggio, ma soprattutto
alla tintura di stoffe
leggere di lana, di cotone
o di lino. La sua lavanderia
e tintoria("fullonica")
sarebbe stata individuata,
a breve distanza dalla
riva destra dell'Adige,
sotto la chiesa inferiore
di S.Fermo maggiore. Sempre
a Verona sono documentate
due figure di spicco:
un aspirante presidente("magister
candidatus") e un
presidente("magister");
presenti anche dei "centonarii",
cioè associazioni di straccivendoli
addetti alla raccolta
degli avanzi della lavorazione
della lana e al loro riciclaggio.
BIBLIOGRAFIA-
Encarta 2000- E.Buchi,
"Assetto agrario,
risorse ed attività economiche"
- Strabone, "Geografia"-
Virgilio, "Georgiche"
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