S.MAFFEI

SCIPIONE MAFFEI

Scipione Maffei: nato a Verona l’1 giugno 1675 dalla famiglia dei marchesi Maffei e morto 80enne l’11 febbraio del 1755 a Verona. Il Maffei si può definire una "mente", un uomo lucidissimo dotato di intelletto di prim’ordine che lo indusse a occuparsi di mille questioni, ma mai in modo superficiale. Era animato dalla voglia di fare nuove conoscenze, dalla capacità di non cadere alle lusinghe del piccolo mondo di provincia, dove facilmente avrebbe potuto essere incontrastato protagonista per la sua intelligenza e la sua cultura, per allargare i suoi orizzonti e confrontarsi con gli ambienti intellettuali di tutta Europa. Verona gli andava stretta, ma continuò a tornarvi e ad amarla, così come , nonostante la chiusura e l’arretratezza della cultura italiana a confronto con  quella della Francia e dell’Inghilterra, continuò a difenderla e ad adoperarsi per risollevarne le sorti. Osteggiato in patria, perseguitato per le sue idee di rinnovamento politico, incompreso a Verona quando i suoi progetti si dilatavano oltre la modesta portata culturale di alcuni ambienti cittadini (come il lungo diverbio con i canonici del Capitolo della Cattedrale per la pubblicazione dei manoscritti rinvenuti dal Maffei e dal Carinelli e, ancora, alla tormentata genesi del museo lapidario), egli avrebbe potuto stabilirsi all’estero, ad esempio in Inghilterra, di cui si era innamorato, ma non lo fece: si sentiva italiano e "l’italianità" fu la passione che lo accompagnò per tutta la vita. Ma fu un italiano, uno dei primi, a sapersi confrontare con l’Europa.

Letterato ed erudito. Sebbene molto giovane, nel 1698 fu ammesso all’Arcadia. "L’incanto dell’attività poetica si prese dei miei giovani anni tutto quello che non fu perduto nella ricerca di divertimenti e frivolezze": così scriveva nel 1721. Nel 1734 la passione patriottica tratta da Dante gli farà scrivere da Parigi: "Oh! Misera e strapazzata Italia!" riferendosi agli sprechi e agli errori dei suoi governanti. Si può ipotizzare che il Maffei si riconoscesse in Dante per questioni di temperamento, infatti entrambi furono dei perenni irrequieti, assetati di cultura, segnati da una personalità troppo forte. Il Maffei, racconta Pindemonte, se contraddetto "caldo si com’era di spirito, s’inalberava", se sapeva di aver ragione voleva gli venisse riconosciuta e nelle discussioni si infervorava, usando toni perentori. Nel 1704 il Maffei, che a Parma aveva ricevuto un’educazione cavalleresca e militare, volle sperimentare in prima persona cosa fosse la guerra, raggiungendo così il fratello Alessandro militare di carriera. Il Maffei nella battaglia di Donauworth rischiò di morire, infatti scrisse alla madre dopo la battaglia: "La mia curiosità di vedere un’azione militare si è in parte appagata". Nel 1705, tornato a Verona, il Maffei è in contatto con i massimi intellettuali veneti e fonda una colonia dell’Arcadia. È il 1710 quando fonda con Apostolo Zeno, Antonio Vallisinieri il "Giornale dei letterati". In questi anni intanto il Maffei è già l’uomo di spicco della vita pubblica veronese. Nel dicembre del 1708 organizza l’accoglienza al re di Danimarca Federico IV, accompagnandolo a visitare città e dintorni. Le più belle case di Verona si aprono in suo onore per pranzi e ricevimenti di gala. Il 1712 è un anno fatidico per l’irrequieto marchese infatti ricerca i più antichi e preziosi codici della biblioteca Capitolare, impresa disperata, ma rivelatasi un successo. In questi anni medita anche la creazione del museo Lapidario, si occupa dell’edificazione del teatro Filarmonico, progetta la Verona illustrata, pubblicata nel 1732. Un grande viaggio tiene lontano il Maffei da Verona dal 26 agosto 1732 fino a 4 anni più tardi. Il viaggio inizia da Verona e lo porta in Svizzera, Francia, Inghilterra, Olanda, Fiandra, Germania, Austria. Scipione Maffei negli anni a seguire si interessa anche della politica veneta. L’11 febbraio 1755 dopo un’infermità di un mese e mezzo, muore stroncato dal "mal di petto". Lasciò erede la Biblioteca Capitolare dei suoi amati manoscritti greci,latini e volgari. Di denaro gliene era rimasto "ben poco", si legge nel suo testamento e sappiamo quanto ne avesse destinato all’acquisto di opere e alla realizzazione di progetti che ancor oggi sono patrimonio della città, come lui aveva desiderato. Aveva scritto nel 1744: "io sono destinato a sacrificarmi per la verità e per il bene pubblico, come ho sempre fatto, senza punto curarmi di tutte le satire, e pasquinate del mondo, e né pur di encomi che in oggi fanno piuttosto vergogna". La sua fu una vita tumultuosa e ogni occasione fu colta per affermare la sua incontenibile personalità, ma egli ebbe il rammarico di non aver altro tempo davanti a sé. Confidava già nel 1735 a Isotta Nogarola: "Tutta la mia vita è sempre stata un accidente. Niente ho potuto fare di quel che volevo fare".

BIBLIOGRAFIA:- Enciclopedia multimediale Encarta 98;- I segni della Verona veneziana;- Nuova enciclopedia Garzanti della letteratura, Garzanti 1987;- Dizionario enciclopedico De Agostini.