La concezione del lavoro nel Medioevo

 
 

     

Nell'Alto Medio Evo notiamo un certo silenzio nei confronti del lavoro e dei lavoratori, silenzio che già può risultare indicativo di una certa mentalità. Qualche notizia intorno alla concezione del lavoro, tra V e VIII secolo, la troviamo nell'ambito delle regole monastiche e nella letteratura agiografica: spesso emerge, anche se non necessariamente in modo esplicito, un quesito:


 

 ''Un monaco può-deve svolgere un lavoro manuale?".

 

 

 

Le fonti agiografiche esaltano, spesso, il valore della vita contemplativa.
Un esempio può essere tratto dalla biografia di Gregorio Magno il quale si lamenta, in alcune sue lettere, di essere stato strappato alla vita contemplativa per essere gettato nella vita attiva e di aver dovuto abbandonare Rachele per Lia, Maria per Marta.

Più avanti la riflessione sul lavoro la si ricava da un altro tipo di documentazione, quale quella dei testi giuridici..., mentre sempre più sovente la riflessione intorno al lavoro è condotta in relazione all'idea della società tripartita.

Al di là comunque, delle fonti cui si può fare riferimento, notiamo che la mentalità comune medievale si presenta oscillante tra due atteggiamenti:

  • Disprezzo del lavoro 

  • Valorizzazione dei lavoro

Il disprezzo del lavoro, inteso come segno di debolezza e di infermità, si lega indubbiamente al peso che la mentalità barbarica ha avuto sulla mentalità generale: a questo proposito appare indicativo un passo tratto dalla Germania di Tacito in cui questo disprezzo del lavoro accanto all'esaltazione della guerra, emerge in tutta evidenza:

 


"Nec arare terram aut exspectare annum tam facile persuaseris quam vocare hostem et vulnera mereri. Pígrum quin immo et iners videtur, sudore acquirere quod possis sanguine parare. Quotiens bella non ineunt, non multum in venatibus, plus per otium transigunt, dediti somno ciboque, fortissimus quisque ac bellicosissimus nihil agens.." (Germania XIV-XV)
 

''...non [li] convincerai che è più facile arare la terra o attendere il raccolto dell'annata piuttosto che provocare il nemico e guadagnarsi le ferite; anzi sembra loro che sia proprio della gente fiacca e oziosa il procacciarsi con il sudore ciò che si può ottenere con il sangue. Quando non sono in guerra, dedicano molto tempo non alla caccia ma all'ozio, e si dedicano al sonno e al cibo; i più forti e bellicosi non fanno nulla ...''


 
Da questa citazione possiamo ricavare tutto il disprezzo per il lavoro tipico della società guerriera, anche se non manca, nelle mitologie germaniche, qualche cenno di opposta convinzione, quando si fa riferimento al prestigio sociale degli artigiani metallurgici sacri del mondo germanico.

Inoltre, salvo alcune eccezioni, la stessa legislazione barbarica ci appare indicativa del disprezzo per il lavoro: una scala dei valori sociali e dei loro fondamenti ideologici colloca i lavoratori all'ultimo posto.

Un esempio:
presso la legislazione dei Burgundi troviamo la seguente tabella per quanto concerne la pena relativa all'omicidio:

aratores - porcarii - birbicarii - alii servi

carpentarii 

fabri ferraii  

aurifices 
 

30 soldi

40 soldi

50 soldi

150 soldi

 

Un'ambivalenza simile emerge dal mondo cristiano medievale; va tenuto presente per prima cosa un fatto: che la regressione tecnica che ha accompagnato la quasi totale scomparsa del lavoro specializzato ha determinato l'identificazione tout court del lavoro con il lavoro manuale e in particolare modo, con il lavoro rurale.

A questo proposito l'idea della società tripartita sembra confermare questo disprezzo: Adalberone di Laon, nel sec. XI, rivolgendosi a Roberto il Pio, re di Francia, ricorda che l'ordine sociale è stato dato da Dio, e che, soprattutto, per coloro che sono i suoi ministri non è decoroso svolgere nessun tipo di lavoro. Il lavoro viene dunque identificato con la condizione servile, mentre alcune associazioni di idee (laborantes-rustici-illitterati...) producono addirittura una condanna morale del lavoratore stesso.

Un'altra fonte utile per comprendere la concezione del lavoro nel Medioevo può essere lo studio che M. Mollat ha condotto intorno all'evoluzione semantica della parola "pauper": questo termine indica in un primo momento il debole in contrasto con il potente, poi indica colui che nella povertà assume, in un certo senso, l'"imago Christi", infine colui che, nell'ordine sociale, si pone come l'escluso, l'emarginato. Se colleghiamo la condizione della laborator al pauper possono emergere spunti interessanti: il lavoratore è il debole, che china la testa e che assume il peso della colpa che grava sull'umanità; poi il lavoratore è visto come l'umile che rivive umilmente il lavoro divino della creazione di qualcosa; infine il lavoro è potenza dell'uomo sul mondo, per cui chi ne è escluso perde la dignità sociale e, in un certo senso, umana.
 

Isole di valorizzazione del lavoro

Nei secoli dell'Alto Medio Evo, accanto all'eclissi dei valori del lavoro nei sistemi di valore sociale, culturale e spirituale, emergono segni di una qualche valorizzazione del lavoro. Un primo esempio può venire dal lavoro dei chierici e specialmente del monaco. Si parlava precedentemente, del quesito relativo al lavoro per i monaci: il Concilio di Orleans del 511 raccomanda il lavoro manuale ai vescovi, ai preti e lo impone ai monaci. Il lavoro manuale dunque viene considerato positivamente, soprattutto se pensiamo al fatto che il monaco, esemplare per l'umanità tutta, finisce per nobilitarlo; questo , anche se va tenuto presente un fatto di non secondaria importanza: il lavoro del monaco presenta dei caratteri speciali, che quindi solo in piccola parte possono essere ricondotti al lavoro del lavoratore qualunque. Per prima cosa la letteratura agiografica ci conferma che i monaci si dedicavano al lavoro manuale, ma ci fa capire che non di rado l'attività svolta (magari di costruzione di macchine...) era più affine alla vita contemplativa nel senso di una disponibilità di un sapere quasi magico-sovrannaturale. Inoltre ricordiamo che il senso di questo lavoro monastico è penitenziale. Proprio perché il lavoro manuale è legato alla caduta, alla maledizione divina e alla penitenza, i monaci , penitenti per vocazione, devono dare, in ciò, un chiaro esempio di mortificazione.