La concezione del lavoro nella cultura greca 

 

  

Tradizionalmente il classicismo si compiace di immaginare gli antichi Greci come gente che "vive di rendita", che spende cioè la propria vita nel culto della bellezza e dell'esaltazione della personalità. (Accanto a questa immagine va però tenuto conto del fatto che lo sviluppo della vita economica nell'antica Grecia va collegato con un impulso al guadagno presente presso gli stessi Greci!).

Un'antica narrazione di carattere mitico dice che la protervia umana ha spezzato l'incanto dell'età dell'oro , con il suo desiderio di determinare il proprio destino, portando l'umanità all'età del ferro, caratterizzata dal lavoro, come evidente segno di decadenza . Gli dei stessi indirizzano gli uomini alle varie attività (es: Demetra-agricoltura / Hermese-mercatura / Atena-arti donnesche...).

                                        Esame del ciclo omerico      
 
La società narrata da Omero è una società guerriera-cavalleresca che prende sprezzantemente le distanze dal lavoro, pur con qualche eccezione: infatti l'eroe omerico combatte anche per il bottino, oltre che per l'onore, cerca il riscatto dei suoi prigionieri, mentre figure di re in tempo di pace, non disdegnano di occuparsi della mietitura.

Nell'Odissea in particolare, lo spirito commerciale trova una maggiore attenzione da parte dell'autore: la stessa pirateria non appare riprovevole (Menelao confessa candidamente di aver accumulato ricchezze con questo tipo di attività). Sempre nell'Odissea emerge, da qualche parte, una certa sensibilità nei confronti del basso popolo e in alcuni casi, degli schiavi. Ma la sproporzione tra l'eroe e l'uomo in condizione servile resta molte evidente - "Giove toglie metà del suo valore all'uomo su cui piomba il dì servile".

Il giudizio negativo sul lavoro indica un legame forte tra lavoro e condizione servile. Ma cosa accade, quali idee emergono quando il lavoro, diventando esperienza viva, viene pensato come professione libera? Evidentemente il giudizio muta in un atteggiamento
completamente diverso: è il caso di Esiodo, che nella vita era un libero contadino e che, nell'ambito della letteratura greca, viene spesso considerato come il poeta che per primo sviluppa con forza il senso della propria individualità. Accanto alla Teogonia (1022 versi, dedicati alla narrazione delle vicende dell' universore e i Giorni" (828 versi), e, in particolare, il mito di Pandora che spiega la ragione della necessità per cui l'uomo deve lavorare per vivere, oltre che della presenza dei mali nel mondo. L'uomo deve lavorare per avere l'abbondanza; questo dovere non va inteso come una condanna: a differenza degli animali l'uomo deve evitare l'inganno e la violenza, vivere di onesto lavoro e rispettare i dettami della natura. Il lavoro è premio a se stesso e solo grazie ad esso la vita dell'uomo assume senso. Esemplari sono alcune parole, probabilmente indirizzate al  a partire dalla condizione del Caos originario), va ricordata l'altra grande opera: "Le opfratello che si crede troppo in alto per potersi dedicare ad un lavoro manuale: "Nessun lavoro è vergogna. Poltrire è vergogna".

Siamo a questo punto di fronte a due concezioni di vita opposte, anche se va aggiunto che la posizione di Esiodo resta un caso isolato (è difficile trovare un altro che leghi il lavoro al senso della vita!).

Infatti in generale, la cultura greca segna una netta separazione tra lavoro e vita emotiva.

A questo proposito vale la pena di ricordare l'uso del termine che indica, nello stesso tempo, l'uomo gravato dalla fatica nel senso fisico del termine, ma anche colui che ha la coscienza pesante e che dunque è "cattivo".

L'egemonia culturale dell'aristocrazia produce un disprezzo generale nei confronti del lavoro, disprezzo che trova riscontro in Teognide che scrive:

Mai non sarà che stia dritta la testa d'un servo, ma sempre obliqua, il collo torto sempre sarà...

La ricchezza ha corrotto le stirpi...

Interessante è anche l'atteggiamento di Pindaro quando usa il termine ponos per indicare la fatica dell'atleta nel corso delle gare - Teniamo presente che lo stesso termine indica anche la fatica nel lavoro dei campi: la differenza di qualità sta nella meta che ci si prefigge. La fatica legata al lavoro produttivo è spregevole perché non gratuita, e indicativa di uno stato di dipendenza dell'uomo dalle cose, mentre l'attività dell'atleta si carica di senso ludico e denota uno spirito libero e una vita dedicata a coltivare la personalità nel segno della bellezza.

Il disprezzo per il lavoro non è presente in Grecia solo nell'ambiente aristocratico (pensiamo a Sparta dove agli Spartiati è preclusa qualsiasi attività, anche di tipo artigianale) ma anche in ambiente democratico. E' forte infatti l'idea secondo la quale l'attività lavorativa compromette l'inserimento dell'individuo nella vita della comunità, poiché chi è impegnato nella conquista del sostentamento quotidiano non si può dedicare al perfezionamento della propria umanità e non è in grado, dunque, di dare un apporto positivo alla vita della comunità stessa. Platone, che pure ammette la legittimità del "guadagnarsi da vivere" teme le facili degenerazioni cui il lavoro può portare, nel senso della brama di guadagno, e per questo nella Repubblica i guardiani dello Stato non hanno nulla a che fare con l'attività economica.


Aristotele, da parte sua, non condanna la proprietà privata, anzi la vede come fonte di soddisfazione personale, soprattutto in quanto permette la , cioè la liberalità. Aristotele distingue tra due attività economiche: l'una, buona, che mira a procacciare i mezzi di sostentamento per l'uomo libero. L'altra, cattiva, punta al guadagno in sé e scivola nell'esosità.

L'ozio, d'altra parte, non è il dolce far niente, ma lo spazio nel quale il cittadino può vivere in un'ottica superiore; il frutto supremo di questo ozio è l'attività teoretico-scientifica.

C'è comunque un'ottica superiore nella quale pienamente si dà la migliore condizione per l'uomo e non si tratta certamente del lavoro. A questo proposito Aristotele è molto chiaro: nell'Etica Nicomachea egli si chiede cosa sia il vero bene per l'uomo e lo trova nella felicità, che si presenta nella forma dell'autosufficienza, della gratuità e del vero piacere e che consiste nello svolgere la funzione specifica dell'uomo, che la vita secondo la ragione. Nel libro X dell'Etica Nicomachea la felicità è legata alla pratica della più alta delle virtù dianoetiche, e cioè alla sapienza.

Aristotele lega dunque la nobiltà della condizione umana alla vita teoretica, ed esprime in questo una concezione del lavoro come attività nettamente subalterna.


Nel mondo greco due sono le considerazioni fondamentali del lavoro:

  • i Greci riconoscono il valore sociale del lavoro e la sua necessità
  • il lavoro dell'uomo rimanda a qualcosa di più alto del lavoro prestato (cioè all'attività svolta da libero cittadino nella comunità umana).